Dardago, Budoia e Santa Lucia: la nostra storia

Dardago, Budoia e Santa Lucia: la nostra storia

La storia di questi paesi è molto antica ed è documentata da vari ritrovamenti fossili risalenti alla preistoria, da manufatti di epoca romana e anche longobarda. Alcune pergamene della Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago ci riferiscono su usi e costumi di vita quotidiana degli abitanti di questi borghi.

Le comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia, che oggi formano il nostro Comune, hanno partecipato nei secoli allo stesso ambito amministrativo entro il feudo di Polcenigo, i cui Conti detenevano il potere giuridico e fornivano protezione in cambio di tributi. Agli inizi del Mille, l’intera area pedemontana passò sotto il controllo del Patriarca di Aquileia, che vi esercitò il suo dominio religioso, politico ed economico per quasi quattrocento anni. Nel 1419, Budoia si sottomise insieme a Polcenigo alla Repubblica di Venezia, che la difese dalle scorrerie dei Turchi (Balcanici di fede musulmana) che insanguinarono e razziarono questi paesi. Con il Regno napoleonico (1805-1814 ), in Italia, si rinnovò il Codice amministrativo e le tre Comunità vennero convogliate nella municipalità di Budoia.   

Con l'incremento demografico l'emigrazione risultava un'alternativa alla miseria, ciò fu evidente soprattutto con l'annessione al Regno d'Italia.
Il fenomeno, interrotto dalla prima guerra mondiale, riprese nel dopoguerra, tant’è che la tratta ferroviaria Sacile-Pinzano, inaugurata nel 1930, fu denominata 'la ferrovia degli emigranti'. In questo periodo vengono potenziate le latterie e il sistema delle malghe per l'alpeggio.

DARDAGO

 

(Piazza di Dardago)

Dardago viene attestato per la prima volta nel 1186 e deriva dal nome latino “Dardus”.

Possiamo trovare una descrizione di Dardago da una lettera di Jacopo di Porcia (1462-1538), ad un teologo e padre  servita, Angelo Aretino, del convento di Brugnera:

«Il 31 marzo del 1505 circa, mi sono diretto con alcuni amici per fare una gita a Dardago, un villaggio della zona di Polcenigo, come tu sai, borgo montano del Friuli…gli abitanti del posto risposero che c’erano un tempio pagano e una grotta posti su un colle molto in alto, in mezzo ad alture e vallate…e da lì si vedono in lungo e in largo il territorio padovano, trevisano e friulano e infine anche Venezia»

Scavi archeologici dell’Ottocento, effettuati nella valle di San Tomè, portarono alla luce punte, raschiatoi, cuspidi di freccia, sepolcri con ossa mescolate ad utensili domestici, che sono la testimonianza di insediamenti umani risalenti al Neolitico e più in particolare all’età del Bronzo, del Ferro e dei periodi romano e longobardo. Scavi effettuati tra il 1950 e il 1960, effettuati da Natalino Zambon, dal conte Giuseppe di Ragogna, dal maestro Canzio Taffarello dell’Associazione Naturalisti di Sacile e dal gruppo Archeologico del Cenedese. Nel 1964, è stato eseguito in modo scientifico uno scavo dalla Soprintendenza Archeologica e si è ritenuto che i resti, probabilmente, risalenti al IV millennio a.C., possano riferirsi ad una comunità dedita più alla caccia che alla agricoltura.                                                                                                   

Di epoca romana sempre intorno a San Tomè, il sito ha restituito bracciali, anelli, fibule, perline in pasta vitrea blu e verde, forse parti di gioielli. I Romani giunsero con il II sec. a.C., già con le milizie e i mercanti: armi e denari convivevano insieme. Dominio che durò fino al collasso dell’ Impero Romano nel 476 d.C. Ai piedi della fascia collinare e montana si diffuse una vasta e capillare centuriazione del territorio, dipendente da Concordia Sagittaria e che serviva su base catastale per l’assegnazione delle terre ai coloni. Questo fatto viene provato dalla toponomastica sparsa nella Pedemontana tra Stevenà, Ranzano, Dardago ed Aviano.

Nella seconda metà del VI sec., giunsero in Friuli i Longobardi, passando per il Passo di Cave del Predil, a Tarvisio e probabilmente a Dardago, questo nuovo popolo stabilì un proprio insediamento e ne dà testimonianza qualche toponimo diffuso tra Budoia e Dardago come Braida, Brait, Romaian e Lombarder.

Sicuramente, risalente al Medioevo, si trova l’insediamento con masi, campi, prati e sentieri situato nella pianura fertile e piena d’acqua tra Dardago e Mezzomonte. Inoltre, su un dosso sopra Dardago, si fa risalire la fortificazione del Ciastelat (castellaccio), forse una fortificazione quasi diroccata e abbandonata. Lo scopo del fortilizio poteva essere stato quello di ospitare un piccolo nucleo militare, posizionato lì per controllare la strada pedemontana.

Dal 1285, l'organizzazione ecclesiastica dipende dalla Pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago alla quale erano sottoposte Budoia e Santa Lucia. Questa Pieve, posta dal Vescovo nella disponibilità del potente Decano dei canonici della Cattedrale di Concordia, era molto importante dal punto di vista economico: si pensi che fin dal 1319 pagava come decime papali una somma simile a quella della estesa e popolata Spilimbergo. In epoca medievale, la Pieve aveva un clero stabile, un fonte battesimale, un cimitero intorno all’edificio ed era molto importante per la vita del cristiano.

Nel Seicento, attecchì in Friuli l'allevamento del baco da seta: proprio a Dardago fu sperimentato per la prima volta in regione il 'mulino alla bolognese', una potente e innovativa macchina per la lavorazione della seta. Nel 1670 le autorità veneziane permettono la canalizzazione, imbrigliamento e utilizzazione delle acque, con la realizzazione di imponenti opere idrauliche.

BUDOIA – SANTA LUCIA

(Piazza di Budoia)

"Budoia" deriva dal latino betulla, grazie alla diffusione di tale pianta nei boschi attigui al paese. Invece, Santa Lucia prende il nome dalla santa siracusana, che in tempi medievali le venne dedicata la Chiesetta sul Colle.

Nel Medioevo, Budoia si trovò sotto l'influenza dei Conti di Polcenigo cui doveva sottomissione al potere giuridico e in cambio di protezione doveva tributi. Nel 1301, anche a Budoia erano in vigore gli Statuti emanati dai Conti di Polcenigo, dove si tentava di regolare vari aspetti della vita civile, economica ed amministrativa del feudo.

Nel 1419, Budoia si sottomise insieme a Polcenigo alla Repubblica di Venezia. Durante la dominazione veneziana (1400-1797) i signori di Polcenigo mantennero i loro poteri. In questo periodo, in cui l'economia locale era essenzialmente rurale, Venezia attirava una cospicua manodopera per svolgere svariate mansioni: scalpellini e operari edili, eccellenti budoiesi.

A Budoia già con il Medioevo, ma soprattutto con il XVI sec. e poi fino all’Ottocento la coltivazione era di sussistenza! Si coltivavano cereali per la polenta, il pane era una rarità! Il frumento era per le persone ricche, e in frumento erano pagati i contratti d’affitto, mentre ai poveri erano riservati i cereali minori, come la saggina, l’orzo, la segale, il miglio e l’avena. I legumi erano il nutrimento per eccellenza della povera gente. La carne era destinata per i pranzi di Pasqua e Natale per pochi eletti. I colombi venivano allevati in colombaie, ad uso alimentare, come è attestato su un documento del 1644, a Santa Lucia. Il denaro era molto poco e quello che si riusciva a guadagnare lo si prendeva grazie alla vendita del formaggio nei mercati tra Sacile e Pordenone, Venezia. Accenniamo ora alla coltivazione della vite, che a Budoia, per secoli e perfino per tutto l’Ottocento, crescerà non, come oggi, sul palo secco ma arrampicata sugli alberi, simili a rampicanti: era la tecnica dell’antichissima “piantata padana”, che caratterizzava tante zone del Friuli. Il vino che si ricavava era soprattutto da uve nere e questa bevanda era diventata un elemento di base, dato che forniva un po’ di calorie in una dieta molto povera.

Nel 1754, troviamo diversi mestieri in un documento del Catasto, come il sarto Gio Batta Borta, di origine carnica; il muratore Bortolo Cardazzo, detto Martin e il tagliapietra Osvaldo Scussat. Budoia ha l’onore nel Settecento di accogliere nel suo territorio dei notai, utili per compravendite, affitti, doti, stime di case e terreni, per il cui aspetto fiscale e notarile bisognava andare a Polcenigo o ad Aviano. Ricordiamo tra i notai Gio Batta Lacchin e Domenico Besa. Inoltre sempre nel XVIII sec., nell’ambito del clero budoiese, ricordiamo Daniele Bocus “Dolfin” e in seguito Osvaldo Stefinlongo, cappellano di Budoia. Questi uomini per diventare preti ed entrare nell’ambito della Madre Chiesa, dovevano possedere una dote, la cosiddetta “dote del prete” costituita da beni mobili e immobili, come terreni o boschi.

La caduta della Repubblica di Venezia e il cambio delle dominazioni influirono sull'economia locale in conseguenza delle requisizione effettuate per garantire il sostentamento degli eserciti che transitavano sul territorio, delle epidemie e della leva forzata della popolazione maschile.

Con la dominazione francese vennero abolite le strutture feudali con la formazione dei Comuni: il Comune di Budoia risultò ritagliato sui confini dell'antica Pieve di Santa Maria Maggiore, anche se ognuna delle tre comunità si dotò nel corso degli anni di chiese e sacerdoti propri, sobbarcandosi gli oneri finanziari, nonostante l'agricoltura consentisse a malapena la sussistenza.

Con la dominazione austriaca intorno al 1820, si sviluppa anche a Budoia la scuola elementare obbligatoria, utile a fornire un’istruzione minima ai maschi, mentre le femmine restavano per il momento escluse. Si istituirono a Budoia due sole classi, la prima e la seconda elementare, questo nel 1823. Per proseguire gli studi bisognava andare in città, cioè a Sacile! La direzione della scuola, come dappertutto, venne assegnata fino al 1841, ad un sacerdote, Don Giacomo Gozzi, pievano di Dardago, uomo colto e docente di filosofia a Portogruaro. Tra i vari maestri bisogna annoverare il budoiese Don Andrea Cardazzo che sempre nell’Ottocento fu una figura di spicco nell’educare con correttezza e severità molti ragazzi del luogo. Finalmente, nel 1870, si apre la scuola femminile e le iscrizioni furono numerose, nonostante la resistenza di alcuni all’interno del Consiglio Comunale sull’inutilità dell’istruzione per le bambine, considerata “immorale e corruttrice de’ costumi”. Sia il parroco che il curato di Budoia fecero una buona pubblicità per l’entrata in classe delle bambine.

Con l’avvento della Prima Guerra Mondiale e la dichiarazione di guerra del 1914 dell’Italia contro Austria e Germania, molti emigranti budoiesi dovettero rientrare in patria e molte famiglie si videro private del reddito che a volte era l’unica fonte di sopravvivenza. La disfatta di Caporetto, 1917, dopo aver procurato diversi caduti budoiesi, portò l’invasione degli austro-ungarici anche a Budoia, dove gli austriaci nominarono un “bürgermeister”, l’anziano Angelo Zambon, detto Maressial (1853-1931). Negli anni dopo la fine della guerra, nel 1921, si creò una società per il trasporto pubblico e il servizio postale tramite autocorriera con tratta Sacile-Polcenigo-Budoia e Budoia-Pordenone e, nel 1924, fu assorbita da una ditta di Pordenone, i Fratelli Puppin.

La guerra non aveva solo causato morti ed invalidi ma anche povertà e rabbia, paura e sospetto. In questo clima ebbe buon gioco anche a Budoia la nascita del movimento fascista. Il primo Podestà a Budoia fu l’agricoltore e possidente Luigi Carlon, detto Ros che rimase in carica fino al 1931.

(Veduta di Santa Lucia)

La frazione di Santa Lucia, nel 1930, ebbe l’onore di vedere realizzata la stazione di passaggio della linea ferroviaria pedemontana Sacile-Pinzano. Fu frequentata da sei treni a vapore, carichi di emigranti, di camerieri diretti a Sacile e poi a Venezia. Nel 1941, il treno di questa linea fu chiamato “littorina” (che richiamava il “fascio littorio”, simbolo del fascismo). La linea ferroviaria fu usata con la Seconda Guerra Mondiale per scopi militari dagli occupanti nazifascisti e subì anche sabotaggi da parte dei partigiani.

La posizione geografica di Budoia favorì l'affluire delle forze partigiane nelle sue montagne, che trovarono base operativa tra Consiglio e Cavallo. Le azioni dei partigiani, non sempre comprese dalla popolazione che lottava quotidianamente per la sopravvivenza, furono osteggiate dai nazifascisti anche con rappresaglie sui residenti. Nell’agosto del 1944, i partigiani sequestrano un treno a Santa Lucia e lo lanciano vuoto sui binari finché, oltrepassata Sacile, non si scontra a Orsago con una tradotta tedesca, provocando morti e feriti.

Con la fine della guerra, la via dell'emigrazione continua ad essere una delle uniche strade percorribili per una crescita economica e gran parte della popolazione confluisce verso città italiane come Milano, Torino e Venezia ed estere, dove in molti si distinsero soprattutto nel settore dell'accoglienza e della ristorazione, diventando apprezzati e importanti chef e maître. Il grande scrittore friulano Chino Ermacora definiva nel 1953, i camerieri del comune di Budoia in questo modo “lavoratori in abito nero, con camicia candida di bucato, seri, premurosi, onesti e nel numero di 300/400 distribuiti nei vari alberghi e ristoranti del Veneto e Lombardia”. Altro pregio per Budoia il Dott. Carlo Adolfo Carlon, Primario famoso della divisione di chirurgia dell’Ospedale di Padova e fautore del primo impianto di “Pacemaker” in Italia e il Signor Mario Signora, docente al Politecnico di Milano e Direttore della siderurgia di Terni. Per Budoia cominciò un lento processo di spopolamento, in controtendenza solo negli ultimi anni.

Nel 1972, nasce la rivista “l’Artugna” all’inizio bollettino parrocchiale di Dardago ma in seguito apprezzato periodico delle tre comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia.

Tra gli anni 1980-1990, inizia una rinnovata vitalità con la costruzione di nuove abitazioni e attività commerciali e turistiche, che richiamano nel territorio fino ad oggi, gente nuova, anche straniera che apprezza il nostro paesaggio e lo arricchisce di integrazione e cultura.

 

[Tratto dal libro di Alessandro Fadelli, “Storia di Budoia”, 2009, Edizioni Biblioteca dell’Immagine]